Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia Romagna

I gessi di Monte Mauro

a cura di Massimiliano Costa, Piero Lucci e Stefano Piastra

La tutela e la valorizzazione dell’ambiente costituiscono l’obiettivo principale di un Parco.
Istituito con legge regionale n. 10/2005 e gestito da un proprio Ente dal giugno 2009, il Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola protegge un’area di 6.063 ettari che comprende, oltre all’eccezionale formazione geologica, anche una fascia di calanchi più a valle.La Vena del Gesso romagnola si estende infatti dall’Imolese fino a Brisighella con uno splendi-do e lucente affioramento gessoso lungo oltre venti chilometri e con larghezza massima di un chilometro e mezzo, costituendo una delle emergenze geologiche più significative della Regione Emilia-Romagna.Un vero e proprio “Museo Naturale”, dove la Geologia, la Biodiversità e la Storia si fondono per regalare agli occhi del visitatore uno scenario sensazionale. Fin da epoche remote l’uomo è stato attratto da questi luoghi aspri e selvaggi; diverse le moti-vazioni che lo hanno spinto a frequentare il territorio della Vena del Gesso, dall’utilizzo delle cavità presenti a scopo di riparo, culto e sepoltura, all’estrazione del gesso.Per suggellare le considerazioni appena esposte, è stata avviata la procedura per la candidatura e il riconoscimento di Patrimonio Mondiale Unesco delle aree carsiche gessose dell’Emilia-Ro-magna, tra cui appunto la Vena, candidatura avanzata dalla Regione Emilia-Romagna su propo-sta a suo tempo portata avanti dalla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna.L’area trattata in questo volume è di notevole importanza. L’unicità geologica, ricca di grotte e doline e dai paesaggi suggestivi, si unisce alla bellezza dei campi coltivati, gestiti con ammire-vole cura dagli agricoltori locali.Monte Mauro, con le sue imponenti rupi, si eleva tra le vallate del Senio e del Sintria e, decisa-mente, costituisce una delle attrattive maggiori del Parco regionale.In conclusione, un grande ringraziamento va allo Speleo GAM Mezzano e alla Federazione Spe-leologica Regionale dell’Emilia-Romagna, che da decenni si occupano della Vena del Gesso con grande passione e impegno, eseguendo preziose ricerche che ci permettono di conoscere meglio questa splendida, piccola, ma eccezionale parte di mondo, nonché ai curatori e a tutti gli autori che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume, permettendoci di avere gli strumenti necessari per documentarci e per trasmettere alle generazioni future la giusta conoscenza e l’amore per l’ambiente.

Marina Lo Conte
Presidente della Comunità del Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola

Antonio Venturi
Presidente dell’Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità – Romagna

These fragments I have shored against my ruins
T.S. EliotThe Waste Land (1922)

Con la messa in stampa di sempre nuovi volumi, l’opera, che ha il fine di indagare e documenta-re le zone carsiche romagnole, assume dimensioni wagneriane. Nello stesso tempo, essa evidenzia i limiti di un progetto che, pur coinvolgendo studiosi, istitu-zioni locali e mondo accademico, ha connotazioni essenzialmente volontaristiche.
In questo senso gli speleologi usurpano un ruolo, poiché è compito primario delle istituzioni diffondere la conoscenza del territorio e creare gli strumenti per un buon governo dello stesso. Ciò non avviene, perché la gestione (o meglio lo sfruttamento) del territorio ha, nella mente dei più, solamente fini economici.
Anche molte comunità locali, pur con lodevoli eccezioni (si pensi alla proficua collaborazione con l’associazionismo e con le scuole primarie e secondarie dell’Appennino faentino), mostrano frequentemente una pervicace indifferenza per i valori culturali e naturali che il territorio sa esprimere. Di conseguenza, le stesse istituzioni avvertono come questi temi siano diffusamente percepiti come marginali e quindi poco significativi anche in un’ottica di consenso. Lo stesso mondo accademico, sempre più chiuso in se stesso e scarsamente disponibile a espe-rienze multidisciplinari, non sembra cogliere appieno l’importanza di presentare al meglio il proprio lavoro in un contesto non specialistico, utile a diffondere conoscenza. Nonostante l’assiduo impegno del Parco, raro esempio di buon operare in un quadro peraltro sconfortante, la Vena del Gesso romagnola ha urgenza di essere percepita come area naturale con profondi valori che si giustificano insé, senza debordanti corollari economici. Con l’uscita di questo volume si completa lo studio dei Gessi compresi tra i Torrenti Senio e Sin-tria, che èstato, appunto, suddiviso in due monografie.Questo secondo volume documenta un’area ad alta naturalità, dove anche l’intervento umano è stato, tutto sommato, sufficientemente contenuto, con passati momenti di interessante e sostenibile interazione tra uomo e ambiente. Per contro, il libro pubblicato nel maggio 2013 e dedi-cato ai Gessi e alla cava di Monte Tondo (Riolo Terme), cioè alla parte più a nord di quest’area, documenta la distruzione perpetrata dalla cava stessa in oltre sessant’anni di attività. La suddivisione in due monografie evidenzia la più eclatante e distruttiva contraddizione anco-ra in essere nella Vena del Gesso romagnola dove, in una zona circoscritta in pochi chilometri quadrati, una cava demolisce il gesso in contiguità con aree vocate alla massima salvaguardia. Ancora un volume, dedicato ai Gessi dell’area imolese, ci separa dal completamento dell’opera. La sua uscita non è scontata. A ormai dieci anni dall’inizio del progetto, la comunità speleologica romagnola appare frammen-tata, caratterizzata da numeri in diminuzione e priva di quella collegialità che fino a poco tempo fa costituiva un suo punto di forza. Ciò è segno, anche qui, di una crisi che investe, negli ultimi tempi, gran parte dei gruppi speleologici regionali che, sempre meno, concepiscono la speleolo-gia come disciplina atta a contribuire, in maniera originale, alla conoscenza e alla salvaguardia di un territorio affatto peculiare e conseguentemente in grado di focalizzare attorno a sé energie e competenze ad ampio raggio.Detto questo, sarei ingrato se non evidenziassi il ruolo di speleologi, studiosi e ricercatori che, motu proprio e senza compenso alcuno, condividono scientemente finalità e scopi del progetto e, in prima persona, si adoperano con impegno per condurlo a buon fine. Non serve far nomi: la qualità del loro lavoro è ben testimoniata dai molti articoli presenti in questo e nei volumi già pubblicati. A loro soprattutto si deve se il progetto, ormai in fase molto avanzata, andrà a buon fine. Mi auguro infine che questi contributi servano a colmare, almeno in piccola parte, un vuoto cul-turale e progettuale più ampio, allargatosi negli anni, sperando che, in un futuro che non pare prossimo, le generazioni a venire possano invertire tale rotta.

Massimo Ercolani
Presidente della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna

 

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